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miei nemici, per costringermi a soffrire ancora? Presto, il tempo passa ve-
loce. Adesso avete la possibilità di salvarmi, perché quando l'ora sarà tra-
scorsa tornerò a essere il fantasma di me stesso, il giocattolo, il cagnolino,
il lacchè, la pedina di questa strega diabolica che ha pianificato la mia di-
struzione, la distruzione di un uomo. Proprio nella notte in cui non è qui,
voi mi negate una possibilità che non si ripresenterà mai più, condannan-
domi a soffrire in eterno.
È terribile, perché siamo venuti? Sarebbe stato meglio aspettare nelle
altre stanze disse Jill.
Fermi, ho detto ribadì Pozzanghera.
A questo punto il prigioniero cominciò a gridare.
Liberatemi, lasciatemi andare. A me la mia spada. Voglio la mia spa-
da! Non appena sarò libero, la mia vendetta contro gli uomini del Mondo-
disotto sarà così tremenda che nel Mondodisopra non si parlerà d'altro per
migliaia di anni.
Mamma mia, comincia ad agitarsi. Speriamo che i nodi siano abba-
stanza strettì disse Eustachio.
Hai ragione convenne Pozzanghera. Adesso la sua forza è qua-
druplicata e se riesce a liberarsi ci farà a polpette, potete scommetterci. Si
lancerà contro di me ed Eustachio, e io non sono un abile spadaccino. Poi,
una volta diventato serpente, se la prenderà con Jill.
Il prigioniero stava cercando di liberarsi dalle corde ma, così facendo, gli
entravano ancor più nelle carni.
Una notte riuscii a spezzarle, ma allora la strega era qui. Stanotte è
l'occasione buona. Aiutatemi, liberatemi adesso e vi sarò amico. Altrimen-
ti, diventerò il vostro mortale nemico.
Astuto, il ragazzo esclamò Pozzanghera.
Una volta per tutte implorò ancora il prigioniero vi scongiuro,
liberatemi. In nome dell'amore e della carità, dei cieli luminosi e splenden-
ti del Mondodisopra, in nome del Grande Leone Aslan, vi prego di...
Oh! esclamarono i tre in coro.
Ecco il segno aggiunse Pozzanghera.
Sì, sono le parole del quarto segno fece Eustachio di rimando.
Che facciamo? concluse Jill.
Che terribile rompicapo... Poco prima si erano fatti la solenne promessa
di non liberare il cavaliere per nessun motivo, ma era bastato che pronun-
ciasse, una volta soltanto, quel nome tanto caro perché si convincessero a
tagliare le corde. Del resto, a cosa sarebbe servito conoscere i segni e non
applicarli? Aslan non avrebbe mai raccomandato di liberare un matto, uno
con le rotelle fuori posto... a prescindere dal fatto che invocasse il suo no-
me. E se si fosse trattato di un caso? Se la regina del Regno delle Tenebre
fosse venuta a conoscenza dei segni e avesse fatto in modo che il cavaliere
imparasse il nome di Aslan per farli cadere in trappola? Ma esisteva la
possibilità che fosse proprio il segno che cercavano: ne avevano già man-
cati tre, non potevano permettersi di ignorare il quarto.
Se sapessimo cosa fare esclamò Jill, disperata.
Mi sembra che non ci siano dubbi rispose Pozzanghera.
Credi che dovremmo liberare il cavaliere? Che tutto si risolverà per il
meglio? chiese Eustachio.
Questo non lo so spiegò Pozzanghera. In effetti Aslan non ha
detto a Jill cosa sarebbe accaduto dopo, le ha soltanto spiegato cosa dove-
va fare. Secondo me, e non credo di sbagliare, una volta libero il cavaliere
ci ridurrà in polpette, ma non possiamo fare altro. È il quarto segno e dob-
biamo seguire l'ordine di Aslan.
Si guardarono. Era un momento cruciale, dovevano decidere in fretta.
Va bene acconsentì Jill. Liberiamolo. Addio, ragazzi, è stato
bello. Si strinsero la mano per l'estremo saluto, mentre il cavaliere stril-
lava con quanto fiato aveva in gola e una schiuma biancastra gli bagnava la
bocca.
Adesso, Scrubb esclamò Pozzanghera. Spade in pugno, si avvici-
narono al prigioniero.
In nome di Aslan dissero, e cominciarono a recidere le corde. In
un attimo il cavaliere balzò dalla sedia, attraversò la stanza come un fulmi-
ne e afferrò la sua spada (che poco prima era stata prudentemente allonta-
nata da lui).
Tu, per prima gridò il cavaliere avventandosi contro la sedia d'ar-
gento. Caspita, quella sì era una lama! Al primo colpo l'argento che rico-
priva la sedia si staccò. Poi toccò alla sedia stessa e in quattro e quattr'otto
la furia del cavaliere la ridusse in mille pezzi, sparsi qua e là sul pavimen-
to. Una luce abbagliante che ricordava quella di un fulmine illuminò la
stanza, seguita da un fragoroso boato e un puzzo orrendo.
Questa è la fine che meriti, magico e orrendo marchingegno gridò
il cavaliere. La tua diabolica padrona non potrà usarti più per annientare
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