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gue gli era salito alla testa e, quando gli risposero, un at-
timo di spaurito silenzio lo invase; appoggiò la testa al
muro, prima di balbettare, di pregare: «La signora con-
tessa... presto, per favore!».
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Alberto Bevilacqua - La califfa
«Ha fatto bene a chiamarmi» disse Clementina.
«L avrei chiamata io, se no. Facciamo alle quattro, le va?
Alle quattro da me, ci sarà anche don Martinolli...»
«Una furia, contessa» piagnucolò il Gazza. «Una fu-
ria con me dopo tutto quello che ho fatto per lui, e lei lo
sa, dopo tutta la mia dedizione, i miei anni spesi in suo
nome...»
«Stia calmo, adesso...»
«Insultarmi così...»
«Le chiedo scusa per lui e l aspetto alle quattro. Risol-
veremo ogni cosa, vedrà. Sappiamo come trattarlo, un
colpo di mattana!...»
Ancora ore, pensò il Gazza guardando l orologio, e
ardeva, perché avrebbe voluto che Clementina già fosse
lì, davanti a lui, ad ascoltarlo mentre vuotava il sacco, e
non solo con le parole, ma anche con certe pezze d ap-
poggio reperite dal Questore Mazzullo che Doberdò in
ginocchio avrebbe dovuto chiedergli scusa, in ginoc-
chio, e baciargli i piedi.
Il Gazza si incamminò verso casa, verso le camomille
della moglie. Dalla chiesa del Martinolli arrivò il tocco
dell una, sulla città si distesero le sirene delle fabbriche.
3.
Anche l ufficio di Doberdò si fece deserto. Era uscita
persino la segretaria che, di solito, attendeva che il princi-
pale scendesse, prima di ritornarsene a casa. Ma Do-
berdò l aveva invitata a precederlo e lei, dopo quella mat-
tinata di burrasca, non aveva osato i soliti complimenti.
Doberdò era contento di essere solo, con folate di nu-
vole in cielo, accatastate nella vetrata davanti a lui. Si
guardò intorno, come a cercare un ultimo suggerimento,
sulle ulteriori decisioni da prendere quel giorno, in quel
campo di battaglia che aveva visto rivelarsi il suo tempo
Letteratura italiana Einaudi 225
Alberto Bevilacqua - La califfa
nuovo e coinvolti nei nuovi propositi dopo il Gazza e
il consulente bancario anche il professore di suo figlio
e il dottore.
Con l insegnante era stato esplicito: «Lo rimandi, lo
bocci, se è giusto! E se ha la puzza sotto il naso, mi scu-
si, gli faccia capire che ce l ha, chiaro e tondo! Lo tratti
come se non fosse mio figlio, lo tratti come tutti gli altri,
glielo impongo!».
«Ma io credevo...» balbettò l insegnante, temendo di
perdere l appannaggio che, da qualche anno, gli permet-
teva comode vacanze al mare.
«Se è per quella cosa, stia tranquillo. Li avrà lo stesso.
Non come compenso, se non ci sarà corrispettivo, ma
come regalo!... Ma quello che esigo, è che mio figlio non
goda più di favoritismi che gli sono soltanto di dan-
no!...»
Il medico, poi, non aveva nemmeno voluto riceverlo.
L aveva rimandato indietro, dicendogli di ripassare l in-
domani e, se non poteva, dopodomani, a suo piacere.
Non aveva più bisogno di dottori, Annibale Doberdò;
lui stava benissimo. Non si era mai sentito tanto bene,
con tanta voglia di muoversi. Un uomo a punto, e per-
fettamente preparato ai nuovi compiti che lo attendeva-
no, con una sanità che nasceva dal suo spirito ritornato
sano; la sanità più prepotente, più ottimista.
E tutto ciò gli procurava un benessere felice, lo stesso del
giorno prima, che continuava, convincendolo che, ormai,
esso non sarebbe stato più uno stato d animo passeggero,
ma una condizione duratura. Forse ci volevano davvero
molti anni, pensò, e troppe esperienze sbagliate, prima di
arrivare a meritarsi qualcosa che valga veramente.
Nel silenzio ritornato intorno a lui, dopo tante parole,
egli, dimesso l abito del giustiziere verso se stesso e gli
altri, distese le gambe sotto il tavolo, appoggiò al muro
lo schienale della poltrona e, nell elenco, cercò il nume-
ro di un ristorante del centro. Si informò delle qualità
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Alberto Bevilacqua - La califfa
del vino, si prenotò per un pranzo completo. Ordinò di
spedire tutto a casa della Califfa, e poi telefonò anche a
lei, per informarla e per dirle che aveva voglia di festeg-
giare, quella sera.
Una telefonata fatta a voce bassa, come se qualcuno
avesse potuto ascoltarlo nel silenzio di quel grande pa-
lazzo, con l emozione di quella fotografia dinnanzi. Sì,
egli era davvero rinato, e più nulla, in sé, lo contrastava;
era di nuovo il ragazzo di pelo rosso riportato al punto
di partenza, dopo un lungo tragitto sbagliato.
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