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cando con l aspro della barba cresciuta. Appena intese
l acqua bollire, vi buttò la polvere che teneva pronta e
con cura si diede a rimestare accaldando la mano alla
fiamma che saliva da sotto. Poi preso dall impazienza
versò senza attendere che il caffè fosse pronto. Il caldo
della bevanda gli bastava.
Introdotta la testa nel fondo della cuccetta, batté le
mani sul corpo nudo del figliolo che dormiva.
«Svegliati, Enrico, ché il caffè è pronto».
Il ragazzo si stiracchiò con dolcezza, volse la testa per
guardare suo padre e piagnucolando e ridendo borbottò
che aveva sonno.
«Su, brutto porco, alzati, ché si parte».
Enrico vide il caffè fumare, ma si rivolse ancora come
per riprendere sonno, poi infilati i calzoncini, di scatto si
alzò in piedi.
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Giovanni Comisso - Gente di mare
Il padre intanto era ritornato sopracoperta.
L alba già diffusa su dalle cime dei monti aveva nasco-
sto le stelle. Con la luce venivano da terra sintomi di
buon vento. Il capitano se ne accorse e chiamò gli uomi-
ni, che dormivano a prua. Suo fratello rispose, ma tardò
a comparire; a un secondo richiamo, salì in mutande
dando fretta anche agli altri due che continuavano a
chiacchierare. Il vento arrivava, ma un onda contraria
lenta e crescente veniva dal mare imboccando la piccola
rada. I due fratelli issarono le vele da soli, gli altri appar-
vero quando già tutto era finito e al brontolio del capita-
no cercarono scusarsi affannandosi a mettere a posto co-
se di nessuna importanza. Enrico, estraneo alla manovra,
era stato a guardare la terra deserta e silenziosa dondo-
landosi a cavalcioni della barra e ripetendo sonnacchioso
i comandi e le parole del padre. Il veliero si era mosso,
ma giunto alla punta della scogliera che chiudeva la rada,
il vento cessò di colpo. Le grandi vele divennero inerti e
le lunghe onde insistenti ci mandarono indietro. Il fondo
a ogni istante si vedeva più nitido. I marinai si tenevano
ai piedi degli alberi pronti agli ordini del capitano, ma
egli sembrava indeciso e impacciato a risolvere la situa-
zione.
«Dovevamo partire subito», disse Angelo.
«Eravamo in secca», gli rispose il capitano senza
guardarlo. «Ma cosa credi che non si riesca di levarci da
qui?»
«Bella forza, lo so anch io che ci leveremo. Vuoi che
dopo quarantacinque anni di navigazione, mi confonda
proprio per la bellezza di questa maretta? Vuoi vedere
cosa vi è da fare?»
«Rimorchiamo con il caicco».
«Ma sì, e presto, se no ci rimettiamo il timone». E con
un salto furono nel caicco. Un marinaio prese la fune e i
due fratelli si staccarono puntando i remi contro al fian-
co del veliero. Poi presero a vogare a grandi braccia e la
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Giovanni Comisso - Gente di mare
fune si tese fuori dall acqua. Le onde facevano traballare
il caicco, ma essi seguitavano a vogare con le teste erte e
rivolte in avanti. I remi si tuffavano rapidi e a tempo. In-
tanto adagio il fondo non si vide più e la scogliera venne
sorpassata.
Avevano scorto sulle acque l increspatura di una
brezza e vogando sempre con forza giunsero a portare il
veliero fino a quel punto. Allora le vele si scossero e pre-
sero il vento. Risaliti a bordo, il sudore bagnava i loro
occhi. Il capitano si accomodò all ombra della randa, si
tolse le scarpe e chiamato il figliolo gli ordinò di portare
vino e biscotto. Guardavo quella terra come se la la-
sciassi per sempre, quando il capitano venne a invitarmi
a sedere vicino a lui e portate le scodelle volle mescermi
per primo.
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LE SORPRESE DI JABLANAC
Dopo avere fatto una sosta ad Arbe mi risvegliò il ru-
more dei passi dei marinai sulla tolda. Nel buio si senti-
va chiaro il cigolio dei bozzelli e si vedeva la tela pesante
della randa che lenta si alzava. «Partiamo, si va a Jabla-
nac. Il vento è proprio buono. Vedrà che paese. Se non
si approfitta di questo vento, sono guai seri. Sotto a quei
monti l acqua è nera come la pegola e quando fa burra-
sca le onde vengono buttate da una parte all altra, tra le
isole e la costa. Così da per tutto l acqua bolle come in
una pentola». Il capitano quando era di buon umore
ciarlava; questo a volte poteva piacere, ma a volte nel
coincidere, come in quel mattino, con momenti di rifles-
sione tanto necessari alla consistenza per chi si trovi
sbalzato dalla immobilità di una stanza all alternarsi dei
venti, annoiava.
Un usignolo cantava quieto nel bosco vicino, i pesci
saltavano fuori dalle acque come sassi gettati e il paese
costruito con le sue vecchie pietre non dava una voce. Il
vento cresceva e partimmo. Fuori dal porto l alba illu-
minò le vele, costeggiammo l isola e i monti apparvero
imprecisabili nelle loro altezze perché completamente
spogli di alberi. Grigie rocce, sempre rasate dal vento,
erano disseminate sulle cime e i declivi scendevano fino
alla riva del mare, addolciti dalle coltivazioni. Il paese la-
sciato, raggruppato sul promontorio attorno alla chiesa,
stava sulle acque, piccolo e bianco come nella mano del
suo santo protettore. Il capitano mi distolse dal guardare
per mettermi a parte dei suoi affari. Sollevò una tavola,
dal fondo di un ripostiglio prese un sacchetto e sedutosi
sulla tolda cominciò a estrarvi a manate belle monete di
argento: corone, fiorini e talleri di Maria Teresa.
Un commerciante dell isola, che ne aveva tante da
permettersi il lusso di mischiarle ai pezzetti di marmo
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nel terrazzo del suo tinello, gliele aveva cedute a un
prezzo ridicolo. Il capitano credeva di avere fatto un ot-
timo affare. Egli pensava che l argento, non essendo più
in circolazione in Italia, avesse un grande valore. Quan-
do gli feci capire che non poteva valere più di quanto gli
era costato, lo vidi tacere privo di obiezioni e pareva vo-
lesse chiedermi scusa per non avermi interpellato prima
di concludere. Ancora capivo che dentro di sé si dava
della bestia. Mi piaceva vederlo impressionarsi così. La
fortuna non mancava di offrirmi buone occasioni per di-
mostrare la mia indispensabilità a bordo di quel veliero
da cui non volevo più distaccarmi. Si fece colazione
all ombra delle vele e il capitano fu più cortese del solito
nel tagliarmi a fette il pane e nel riempirmi di vino il bic-
chiere. Si rasentava la parete di roccia di un lungo sco-
glio deserto che formava con l isola vicina un canale
sempre più stretto, possibile ad attraversare solo con un
maestrale dolce come quello che spirava. [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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